LE CHIESE DEL CAMMINO

Chiesa di Santa Maria della Pace

L’edificio è stato progettato da Paolo Portoghesi su incarico del vescovo Franco Gualdrini (1983-2000) e portato a termine sotto l’episcopato di Mons. Vincenzo Paglia che lo ha consacrato l’8 dicembre 2003. L’architettura risente della forma stellare fortemente marcata dal soffitto ligneo. Anche l’edificio è una proiezione stellare che per certi aspetti richiama la foglia dentata di quercia, un albero molto diffuso nell’area circostante la chiesa. Appena varcata la soglia della porta centrale, si trova il Cristo Risorto di Paolo Borghi, che prende per mano il fedele e lo inoltra all’interno, dove la luce che piove dalle finestre ad angoli acuti amplifica lo spazio riflettendosi sulle pareti imbiancate e sul soffitto a travi in legno di pino, che si irradiano da un motivo a stella posto al centro. La pianta irregolare della costruzione trasforma questo spazio in una sorta di grande scultura accogliente, dando al visitatore una sensazione di conforto. La chiesa è posta lungo la Via Ippocrate a Terni.

Ciclo pittorico

Sul primo quadro che rappresenta san Francesco all’inizio del pellegrinaggio nel territorio ternano, emerge una visione anacronistica,  quasi metafisica della realtà. Lo si evince dal vorticoso giro delle nuvole e rondini, che felici della visita del santo, danzano nel cielo sopra le acciaierie nella città di Terni. Sul secondo quadro Sam Francesco ossequia il vescovo Rainerio che lo accoglie in cattedrale, la chiesa più belle e sacra della città. San Francesco porta con sè la natura di cui è il cantore per eccellenza: alberi, uccelli, fiori, il sole e la luna, dunque il cosmo. Con la ricchezza del creato egli entra nella Chiesa ternana contemporanea, sottolineata dalla porta che l’artista Bruno Ceccobelli ha realizzato a ricordo del Giubileo del 2000. Tutt’intorno è la folla che assiste all’evento attonita, curiosa e meravigliata. San Francesco amava particolarmente l’Umbria meridionale e ogni luogo da lui visitato si è trasformato in palcoscenico del mistero cristiano. Il santo ha sempre pensato ad un “altrove” da inserire come significato sulla terra visitata. Ne è esempio la scena del miracolo di Piediluco; qui Di Stasio, terzo quadro, riprendendo l’evento storico narrato dal Celano, ha inteso porre la visione del Natale di Greccio. Il potere e  la capacità di dialogo che san Francesco possedeva con il mondo degli esseri viventi era unico. Ad Alviano riuscì addirittura a far tacere le rondini. Queste, infatti, con il loro canto, disturbavano la sua voce che annunciava le meraviglie del regno di Cristo. Di Stasio, quarto quadro,  sottolinea l’eccezionalità dell’evento inserendo improbabili rose su un pulpito traballante e collocando le rondini in un ordine surreale. Quadro cinque è raffigurato san Francesco ammalato nello Speco di narni e disteso su un vero letto e un angelo musicante inviato da Dio a consolarlo. Sempre allo Speco di Narni: quadro sei, l’acqua sulla mensa si tramuta in vivo e Francesco vede una connessione con le nozze di Cana. Il poverello di Assisi, quadro sette, approda a Calvi e annuncia il Vangelo nella chiesa del SS. Salvatore. Il giovane Berardo lo ascolta e decide di indossare il saio dei frati minori. Nel riquadro è già prefigurato il suo martirio con una visione di Cristo che pende dalla croce e trasforma il sangue di Berardo in petali di rose. Quadro otto, è il giorno della partenza, nel momento drammatico e al tempo stesso gioioso per i sei missionari protesi verso il Marocco. Sullo sfondo della terra d’Africa e dell’Europa intera Francesco benedice i suoi compagni. Non tutti arrivano al “Marocco – Calvario”, quadro nove. Faceva parte del gruppo anche Vitale, il quale però dovette fermarsi ad Aragona per una grave malattia, mandando avanti gli altri e prevedendo per loro la palma del martirio. Berardo sostituì il confratello nel ruolo di guida del gruppo. Quadro dieci, durante la navigazione l’artista introduce nell’opera gli strumenti di tortura allora in auge compresa la colonna di pietra sulla quale venne flagellato Cristo. Anche l’ascia in uso in Marocco è presente nell’opera e Berardo con il braccio proteso verso l’alto guida la navigazione. Quadro undici, attraverso il Portogallo, aiutati dalla sorella del re, Sancia, i cinque missionari francescani, poterono finalmente penetrare nel regno dei mori e iniziare a Siviglia la predicazione. Quadro dodici, sbarcati in Marocco i cinque giungono a Marrakech dove inizia la loro testimonianza cristiana. Qui sono raffigurati la predicazione, la preghiera che l’accompagna e le difficoltà in un’unica visione architettonica che pulpito per la predicazione, torre di una prigione, segnale architettonico di una civiltà ricca e colta e anche il sole caldo e la sabbia d’oro della terra africana Quadro tredici, Di Stasio riconosce la testimonianza cristiana con l’inserimento della croce che, sovrastando i corpi decapitati dei cinque missionari, addolcisce l’amaro della morte trasformando il sangue nei petali di rose della Pasqua definitiva. Sancia, quadro quattordici, la sorella del re del Portogallo, in preghiera ha una visione che la riempie di gioia: i cinque protomartiri danzano con lo strumento del loro martirio. E’ primavera. E’ il momento della Pasqua raffigurata da cinque rose che spuntano dal pavimento e da uno sfondo verdeggiante con alberi e acqua, come oasi nel deserto. Quadro quindici, i corpi dei martiri furono trasportati in Portogallo dove furono accolti trionfalmente e sepolti in Santa Croce a Coimbra. Era presente all’arrivo delle reliquie il canonico di Santa Croce, Fernando di Lisbona, il futuro sant’Antonio di Padova, che maturò in quella circostanza la propria vocazione francescana. L’opera fa vedere allo stesso tempo il trasporto dei corpi a Coimbra, sant’Antonio che assiste e viene illuminato dal Tau del saio dei poveri. Quadro sedici, E’ il momento del trionfo. Si chiamavano: Berardo da Calvi, Pietro da Sangemini, Accurzio di Aguzzo, Adiuto di Narni, Ottone di Stroncone. La cascata delle Marmore è il luogo simbolico posto dall’artista come sostegno del trionfo dei figli scaturiti dalla terra da lei bagnata.

Abbazia di San Benedetto in Fundis

L’abbazia di S. Benedetto in Fundis si erge nelle vicinanze dei centri storici di Stroncone e Miranda. La data della fondazione dell’abbazia non è nota, sebbene siano stati approntati in merito molti studi. Solo l’analisi delle strutture murarie e della tipologia della pianta della chiesa ha consentito la formulazione di ipotesi più attendibili e vicine alla realtà, poiché la fonte più antica relativa con certezza al monastero riguarda la lapide posta sulla facciata della chiesa di S. Nicolò datata 1181. La lapide attesta la donazione della chiesa stessa da parte della comunità di Stroncone all’abbazia di S. Benedetto in  Fundis. Bruno Napoli, analizzando la struttura del sito benedettino, costituito da monastero e chiesa a pianta basilicale a tre navate con absidi contrapposte, fa risalire la fondazione ai secoli IX-X. L’abbazia benedettina, rientrando nel novero dei monasteri vescovili, fa senza dubbio parte di uno di quei insediamenti che sorsero in numero elevato nell’Italia altomedioevale nelle prossimità di centri urbani, favoriti dalle particolari condizioni ambientali. La primitiva comunità che diede origine all’insediamento religioso proveniva con molta probabilità da territori limitrofi. Una ipotesi valutabile potrebbe essere la vicinanza dell’abbazia farfense, dalla quale nel IX sec., a causa dell’invasione saracena, fuggirono numerosi monaci cercando protezione nei territori di Roma, Rieti e Fermo. Non è da escludere pertanto che alcuni religiosi farfensi in tale occasione abbiano deciso di fondare alle pendici del monte Terminuto un nuovo monastero, dotandolo di mura perimetrali di difesa riprendendo dalla chiesa di Farfa la tipica struttura a pianta basilicale con due absidi contrapposte. Le condizioni attuali del monastero non ci consentono di descrivere l’interno dell’abbazia così come era ai tempi del suo antico splendore. Alcune testimonianze le possiamo ricavare da un inventario redatto dal notaio Giuliano Panfili di Narni nel 1728. In esso si legge che la badia aveva “…un solo altare a capo della navata di mezzo con una sua pietra consacrata, col quadro grande in tela alto palmi dieci, largo palmi sei con cornice di legno di color nero ed altri colori, rappresentante S. Benedetto, la Madonna col bambino ed un Angelo che tiene la mitra e da piedi della mano destra l’arma di Monsignor Piccolomini. Ai pié di detta chiesa vi è un sito ovato ad usodi coro con sotto una stanza sotterranea nella quale si scende per una porticella che è ai pié della chiesa nella quale si trovano: nell’altare, candelieri, tovaglie, calici, coppe, corporali, messali, pianete, ampolle ecc. Vi è la sacrestia che sta a destra dell’altare dentro la quale vi è una tavola di pietra per servizio dei sacerdoti che vi celebrano. In detta chiesa vi è il campanile con dentro una campana di metallo di altezza pollici 3 e mezzo e larghezza pollici due e mezzo con tre giri di lettere gotiche”. Alla fine del secolo XIX Luigi Lanzi riportò, nel suo saggio sul monastero benedettino, una dettagliata descrizione della chiesa: “il coro di sinistra… conserva più dell’altra l’antico tipo; è scarsamente illuminato da tre anguste e lunghe finestrine arcuate… la chiesa è in travertino, barbaramente poi intonacato ed imbiancato; vi si osserva la sedia dell’abate, nonché il basamento del piccolo altare che era sostenuto da quattro colonnine di marmo, qualche frammento delle quali è sparso per la chiesa. Discesi i primi gradini del presbiterio dalla parte dell’epistola, si penetra nella critta, che costruzioni posteriori, eseguite per sostegno della fabbrica soprastante, hanno resa angustissima. Si taluno dei larghi pilastri della chiesa compariscono tracce di antiche pitture, ricoperte dal pennello dell’imbianchino. Una sola  è conservata quasi difronte all’ingresso; può ritenersi opera del secolo XV, non priva di qualche interesse e rappresenta l’Annunciazione della Vergine, S. Benedetto e, secondo lo stile dell’epoca, v’è riprodotto il piccolo ritratto del monaco che fece eseguire quel dipinto, in atto di preghiera… Oltre a ciò non v’è più lapide, pittura, memoria od ornamento di sorta, se si eccettua il frammento di una cornice elegantissima in marmo bianco, giacente tra rottami di cui è sparso il rozzo selciato della chiesa”.

Monastero di San Simeone

Monastero benedettino nell’alto medioevo alle dipendenze della Abbazia di San Benedetto in Fundis, venne abbandonato dai monaci per passare al clero secolare e nel Trecento agli eremiti Clareni che vi trovarono il luogo ideale per mettere in pratica il proprio carisma. I Clareni abitarono San Simeone sino al 1568, anno in cui consegnarono il convento agli osservanti. Quest’ultimi custodirono il convento sino al 1880. Dopo un lungo periodo di abbandono il convento è stato parzialmente ricostruito e restaurato grazie alla comunità religiosa dei “I Ricostruttori nella Preghiera”. (www.iricostruttori.com)

Convento di San Francesco (Stroncone)

San Francesco raggiunse Stroncone nel 1213. Gli fu offerta una Cappella, dove, nel 1228, secondo il Gonzaga, fu costruito il primo convento dedicato a Santa Maria. Abbandonato successivamente, venne ripreso da Paoluccio Trinci e nel 1550 prese il nome di San Francesco. Vi hanno abitato i santi Bernardino da Siena, Giacomo della Marca, Giovanni da Capestrano. All’esterno della chiesa furono costruite due cappelle dedicate rispettivamente a sant’Antonio abate e sant’Antonio da Padova. Quest’ultima era stata edificata a spese di tutto il popolo per particolari grazie ricevute. Qui fu chiamato a dipingere Tiberio d’Assisi che, nel 1509, vi affrescò la Madonna con Bambino, tra i santi Antonio da Padova, Girolamo, Michele arcangelo e Bonaventura. Nei successivi ampliamenti del convento importante quello riguardanti la biblioteca la quale già nel 1650 aveva una buonissima reputazione in quanto alla quantità di libri custoditi. Sono nativi di Stroncone: San Ottone, protomartire francescano; il Beato Giovanni Vici, che successe a Paoluccio Trinci nella direzione dell’Osservanza e il Beato Antonio Vici. Questi morì a San Damiano in Assisi nel 1461, ma nel 1809, col favore dei francesi, il suo corpo – rimasto intatto – fu trasportato nella chiesa francescana di Stroncone ove gode di grande devozione presso i suoi paesani.

Chiesa di San Pietro Apostolo (Aguzzo)

Il paese di Aguzzo è un vecchio castello che domina le vallate che lo circondano.  Il suo nome ha subito nel tempo alcune variazioni, da Vacutium, nome iniziale, passando per Vacutio, Acutio ed infine Aguzzo. Gli Orsini di Roma ne furono i signori e fu a lungo sottomesso da Narni, come testimoniato dalla bolla gregoriana del 1227. Durante le lotte tra le fazioni guelfe e ghibelline, il paese venne definitivamente conquistato dai narnesi nel 1306. Dalla porta del castello (1417) si accede alla piazzetta, dove si affaccia la chiesa, che risale al XII sec., dedicata a S. Pietro Apostolo. Nelle mura di ponente, riportate di recente all’antico splendore, si può notare un bastione a scarpa con feritoie e spingardiere.

Speco di Narni

È il luogo francescano più antico della Valnerina. I Primi eremiti vi arrivarono verso il 1000, vi trovarono una grotta e costruirono una cappella. San Francesco vi arrivò nel 1213 e vi ritornò ancora: qui ascoltò il suono della viola dell’angelo e trasformò l’acqua in vino. Infatti narra Tommaso da Celano: «Nel tempo in cui presso l’eremo di Sant’Urbano era afflitto da gravissima malattia, san Francesco chiese con languida voce del vino, ma gli fu risposto che non c’era da dargliene. Volle allora che portassero dell’acqua, e quando gli fu recata la benedisse col segno della croce. Subito quell’elemento, cambiando specie, perdette il proprio sapore e ne acquistò un altro. Divenne ottimo vino ciò che era acqua pura, e quanto non poté la povertà, lo offerse la santità. Gustatone, l’uomo di Dio risanò con tanta prestezza, che se della meravigliosa guarigione fu causa quel cambiamento, del mirabile cambiamento stesso fu testimone la mirabile guarigione». Il conventino si sviluppò con san Bernardino da Siena. L’antica cappellina di San Silvestro, presenta preziosi affreschi trecenteschi. Dietro l’abside resta il pozzo da cui fu attinta l’acqua che Francesco trasformò in vino. Oltre alla grotta di san Francesco, è possibile visitare il tugurio, l’oratorio del santo e la colonna su cui l’angelo avrebbe suonato la sua cetra per confortare un attimo di malinconia del Santo; senza dimenticare le grotte di sant’Antonio e di san Bernardino.

Chiesa di Santa Maria Assunta (Calvi dell’Umbria)

Di grande interesse artistico la chiesa di Santa Maria assunta, dove si può ammirare un fonte battesimale in stile tardorinascimentale .

Chiesa di San Michele Arcangelo (Schifanoia)

Chiesa romanica che è quanto resta di un antico monastero benedettino. La chiesa, ove la tradizione vuole si fermò San Michele, ha la facciata del tipo a capanna con un semplice portale leggermente spostato sul lato destro ed una larga monofora murata al di sopra; presenta un campanile a vela al di sotto del quale si apre un delicato rosone. L’aula, coperta di capriate lignee, si compone di un presbiterio rialzato e di un’area destinata al pubblico separate da transenna affrescata. Nella chiesa si possono ammirare interessanti pitture e in particolare nell’abside un Cristo in mandorla; nel tamburo, a sinistra la Madonna e apostoli, a destra, un gruppo di personaggi storici (papa Giovanni XIII, Ottone I e l’Imperatrice Adelaide, la principessa Teofano e Ottone II). Sulla fronte dell’arco sono arcaiche raffigurazioni dei quattro evangelisti mentre sulle pareti immagini frammentarie di San Sebastiano, una Madonna con il Bambino e un ciclo cristologico riferibile ad un pittore senese del XIV secolo. Una seconda chiesa è edificata poi nel luogo ove originariamente erano piccole costruzioni e tettoie per riparare i pellegrini e conserva alle pareti riquadri votivi con immagini di San Michele ArcangeloSan SebastianoSan Rocco e nella cappella di fondo una Madonna delle Misericordia, tutti affreschi riconducibili ad un unico pittore del XIV secolo; di epoca precedente  sono invece la Crocifissione con il San Sebastiano e la Crocifissione con i dolenti sulla parete destra.

“una sera di maggio dell’VIII secolo san Michele arrivò a Sant’Urbano, tra i boschi della montagna narnese, su un carro trainato da tori, e chiese asilo, ma gli abitanti – che erano ancora pagani – non l’accolsero. L’Arcangelo allora attraversò la montagna e raggiunse schifanoia lasciando sulla roccia dei solchi che – dicono – ancora si vedono insieme alle impronte delle zampe dei tori furiosi. A Schifanoia, san Michele fu accolto con rispetto e prima di andarsene lasciò ai pastori, che lo supplicavano di aiutarli a debellare la peste degli animali domestici, due ferri per cocere i cristiani e le bestie. Sul punto dove era arrivato l’Arcangelo fu edificata la chiesa che a lungo ha custodito i due ferri” 

Chiesa di Santa Pudenziana (Visciano)

La chiesa di S. Pudenziana è una delle più caratteristiche chiese romaniche di questo lembo estremo dell’Umbria meridionale. Situata a Narni nel mezzo della campagna è senza dubbio opera di artigiani, costruita con materiali rudimentali e di recupero (capitelli, colonne, lapidi e frammenti di pavimento a mosaico) provenienti da costruzioni romane e paleocristiane, per questo si è soliti relegare la chiesa di Santa Pudenziana con la qualifica di preromanica. Il fatto di non possedere la pienezza espressiva di un tipo d’arte è fuori da ogni proposito di imitare le opere maggiori. La data della sua costruzione, non documentata, va collocata fra il 998 e il 1036 e fu probabilmente opera dell’abate Pietro e di suo nipote Adriano. L’abate Pietro era un aquilano, portato in Italia da Gerberto di Aurillac, meglio conosciuto come Papa Silvestro II, maestro di Ottone III, l’Imperatore tedesco era infatti assiduo frequentatore di Narni. La prima citazione sulla chiesa chiamata allora S. Maria di Visiano è nei beni del Capitolo della Chiesa di S. Giovenale, elencati nella bolla di Onorio II del 1129, capitolo rappresentato dal priore Pomponio.Di fronte alla pressoché assoluta mancanza di dati documentati non resta che affidarsi ad indizi ricavabilidall’esame della chiesa. Come già specificato essa era dedicata alla Madonna (S. Maria di Visiano) solo dopo vi fu la dedica a Santa Pudenziana, martire, sorella di S. Prassede, tale dedica sorse dal fatto che nelle vicinanze sono stati rinvenuti frammenti di laterizi bollati con il marchio di un certo Pudente, creduto il padre delle due Sante romane. Con l’andare del tempo il luogo fu abbandonato e andò sotto l’amministrazione del curato del castello di Borgheria, poi, col titolo di abbazia in mano di preti o di secolari. Successivamente passò al demanio, che mise in vendita all’asta pubblica sia la chiesa di santa Pudenziana che alcuni appezzamenti di terreno adiacenti. I fratelli Senapa di Narni fecero l’offerta e si aggiudicarono tutto, ma prima che la chiesa fosse alienata il marchese Giovanni Eroli, già regio ispettore degli scavi e monumenti antichi, si prodigò per preservarla e farla custodire dal Municipio. Così la chiesa narnese fu posta fra i monumenti nazionali e ancora oggi è di proprietà del comune di Narni. (http://www.santapudenziana.org/)

Abbazia di Sant’Angelo in Massa (Taizzano)

L’antica Abbazia di S. Angelo in Massa sorge sul luogo occupato da un’antica villa romana del tempo dell’Imperatore Antonino, come testimoniano iscrizioni e reperti archeologici rinvenuti in loco. Non si hanno notizie relative alla sua destinazione nell’alto Medioevo, si sa solamente, dal Regestum Farfense che nel 996 fu ceduta ai benedettini, per diventare nel 1037, proprietà dell’Abbazia di Farfa. Nel corpo del monastero è rimasto poco della struttura originaria. Interessante invece, nonostante le trasformazioni, rimane la chiesa. La facciata rivolta a sud-est, si presenta come una bella composizione di mattoncini ben disposti e maioliche. Sappiamo che il card. Borgia fece eseguire diversi lavori, apportando delle modifiche, che cancellarono molto dell’antica architettura romanica. Alla chiesa si accede attraverso il portico rinascimentale costituito da sei pilastri in pietra, che sorreggono archi a tutto sesto, costruito dal Cardinale Borgia. (Alessandro VI).La torre campanaria è una costruzione medievale con una merlatura posticcia. L’interno della chiesa è a tre navate con colonne di pietra che sostengono archi a tutto sesto. L’altare è di marmo del tardo rinascimento ed è stato costruito al tempo del Vescovo Romolo Cesi. La Cappella di sinistra, dedicata alla Madonna è di forma quadrata con gli archi sostenuti da quattro colonne di marmo bianco con i capitelli quattrocenteschi e con graziosa cupola. Sopra l’altare c’è una tela rappresentante la Natività opera giovanile del Narnese Michelangelo Braidi dipinta nel 1595 quando l’autore aveva 26 anni, secondo quanto egli stesso ha scritto firmando il quadro.

Chiesa di San Francesco (Narni)

La chiesa di San Francesco è stata costruita dopo la morte del Santo avvenuta nel 1226. Fu edificata in questo luogo, perché qui dimorò il Santo. La facciata della chiesa ha un portale ad archi concentrici e sul frontone c’era il rosone, manomesso nel XVII sec. L’interno è a tre navate di stile tardo romanico, divise da pilastri cilindrici su cui poggiano archi a tutto sesto. L’abside poligonale è coperta con una volta a vela, è gotica e riprende quella della cattedrale. In fondo troviamo un finestrone a trifora con una vetrata istoriata divisa in due parti: la superiore raffigura S. Francesco con i protomartiri francescani, l’inferiore raffigura Lo Speco di Narni, S. Giovenale e la piazza dei Priori. La chiesa è ricca di affreschi del ‘300, del ‘400 e del ‘500, le cui caratteristiche sono tipiche della tradizione pittorica di Narni e dei dintorni ad eccezione della cappella Eroli: quest’ultima è caratteristica dell’architettura del ‘400 ed è decorata con affreschi raffiguranti episodi della vita del santo, ispirati dagli affreschi giotteschi di Assisi e dagli affreschi della chiesa di S. Francesco di Montefalco. La sacrestia è stata affrescata da Alessandro Torresani con scene raffiguranti l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi, le Nozze di Cana e il Redentore.

Abbazia di San Cassiano

L’abbazia di San Cassiano è un’abbazia benedettina del X secolo situata nei pressi di Narni in provincia di Terni. L’abbazia è ubicata sulle pendici scoscese del monte Santa Croce, non distante dall’imboccatura della gola del fiume Nera, in una posizione che domina l’antico tracciato della via Flaminia. L’abbazia di San Cassiano è nominata per la prima volta con certezza in un documento dell’abbazia di Farfa del 1081, tuttavia il ritrovamento di un’iscrizione durante gli ultimi restauri effettuati negli anni settanta indica una datazione molto anteriore; infatti l’iscrizione era posta su un sarcofago di epoca romana, donato al probabile primo abate di San Cassiano (il beato Orso) da tale Crescenzio di Teodorada. Poiché Crescenzio morì nell’anno 984 d.C. (fu sepolto nella chiesa di Sant’Alessio sull’Aventino), si può dedurre che l’abbazia esistesse già diversi anni prima e dunque la datazione è certamente da porre almeno alla seconda metà del X secolo. Si hanno poi poche notizie certe, se non quella dell’anno 1334 relativa alla modifica dell’impianto dell’edificio dalla forma a croce greca a quello del modello basilicale a tre navate, con abbattimento delle estremità delle braccia trasversali. In un periodo compreso fra gli anni 1538 e 1546 fu abate tale Gian Rinaldo Montoro; dopo tale indicazione mancano notizie certe e probabilmente fu intorno a quella data, a partire dal tardo XVI secolo, che iniziò la decadenza dell’abbazia con il progressivo abbandono dei monaci. Seguì un periodo di totale abbandono e progressivo impoverimento dell’edificio, fino ai lavori di recupero effettuati a spese dello stato negli anni settanta, effettuati per forte interessamento del senatore Giuseppe Ermini. Gli interventi tardo medievali, abolendo i bracci trasversali, ne avevano ridotto l’originario impianto cruciforme ad un più ordinario schema a tre navate, ma con i restauri degli anni 1970 del XX secolo tale impianto è stato reso nuovamente leggibile, rintracciando le colonne murate nei muri aggiunti in epoca tarda e permettendo di ricostruire idealmente, con buona approssimazione, l’edificio originario. La chiesa primitiva era a croce, con i quattro bracci uguali ad eccezione di quello d’ingresso, più lungo di un’arcata; ciascun braccio era diviso in tre brevi navate da due arcate poggianti su colonne ed era concluso da un’abside, sempre con l’eccezione del braccio d’ingresso che forse si concludeva come oggi con una facciata piana. Il centro della chiesa è marcato da quattro pilastri quadrilobi, ciascuno composto da quattro semicolonne addossate ad un nucleo quadrato. Su tali semicolonne si appoggiano le arcate che dividono in navate i quattro bracci e le due grandi arcate che, scavalcando le navate centrali trasversali, ne inquadravano le absidi. Le quattro semicolonne volte verso la navata maggiore si presentano invece libere, non sostengono infatti nessun arco ad essa trasversale, cosicché i bracci longitudinali della croce, formando un unico ambiente, acquistano una decisa accentuazione, ulteriormente marcata dall’allungarsi di un’arcata del braccio di ingresso. Anche la qualità della muratura della chiesa costituisce un’eccezione nel contesto di Narni, presenta infatti una tessitura irregolare, a conci solo sbozzati, a tratti disposti a spina di pesce, come si riscontra in edifici altomedievali, e legati da abbondanti letti di malta. Alcune arcate in laterizio sono a doppia ghiera, come in edifici romani del IX secolo (Ss. Quattro Coronati, S. Prassede, S. Martino ai Monti). Data l’esilità dei sostegni, la chiesa dev’essere stata sin dall’origine coperta a capriate, come oggi, e, per la mancanza delle arcate trasversali alla navata maggiore, non deve avere mai avuto una cupola all’incrocio dei bracci.  L’impianto cruciforme è di possibile influenza bizantina, ma è accostabile anche al Duomo di Pisa e a San Ciriaco e a S. Maria di Portonuovo ad Ancona, per cui è stato proposto di datare – dubitativamente – la chiesa di San Cassiano all’XI secolo.

Santuario della Madonna del Ponte (Narni Scalo)

La leggenda narra che nel 1714 un giovane narnese della famiglia dei Fanelli era sceso dalla città ai piedi del monte S. Angelo e stava risalendo per cacciare la selvaggina, quando, inseguendo uno degli animali, si addentrò tra i cespugli, che si erano formati tra i ruderi, dopo il franamento della Flaminia. Ad un certo unto, d’improvviso, notò, illuminata da un raggio di sole, un’immagine sacra molto bella, in fondo ad un antro. Emozionato per la scoperta, risalì in città e narrò il fatto. Si sparse la voce e cominciarono a scendere devoti e curiosi. La cosa suscitò tanto entusiasmo, che si pregò il Vescovo di costruirvi una chiesa. Fu incaricato del progetto l’architetto milanese G. Battista Giovannini, detto il Battistini. La chiesa fu consacrata nel 174 e diventò un Santuario, meta di pellegrinaggi dalla bassa Umbria, dalla Sabine e dal Lazio. Oltre che centro di devozione, esso è anche un esemplare di nobile architettura settecentesca. Luminosità, armonia di linee e slancio, fanno da cornice al bel complesso, rappresentato dalla composizione centrale, che racchiude la cosiddetta grotta della Madonna. Belli sono gli stucchi, espressive le figure simboliche, raffiguranti i vari titoli di onore, con cui si venera la Madonna, le figure dei Santi che in trionfo sopra il demonio sconfitto, fanno da cornice alla gloria della Madonna, che domina in alto su tutto il complesso. La grotta è un antro artificiale, creato in calcestruzzo, che non è altro che un rudere di uno degli archi o contrafforti che sostenevano la Via Flaminia, all’uscita dal Ponte d’Augusto.(www.madonnadelpontetna.it)

Santa Maria della Quercia

E’ stata costruita sul luogo dove alcuni pellegrini nel 1576 scoprirono un’immagine della Madonna, costituita da un bassorilievo di marmo di 40 cm. di lato inserito nel tronco di una quercia. La chiesa fu compiuta nel 1614 e divenne meta di pellegrinaggi. Vescovi e Cardinali, nobili famiglie narnesi fecero a gara per arricchirla di doni preziosi. L’edificio è di vaste dimensioni, dalle linee ampie e che denotano il carattere di nobiltà dell’architettura dell’epoca. La facciata è incompleta e a terra si notano i bei capitelli in pietra che dovevano completare i pilastri della parte inferiore. Bello il portale di pietra. L’interno, ad una sola navata, è vasto e arioso. In fondo c’è l’ampia abside, davanti alla quale sorge un tabernacolo contenente il tronco della quercia nel quale è inserito il bassorilievo raffigurante la Madonna col Bambino. L’altare in muratura è ornato di un paliotto di legno, scolpito e sostiene un tabernacolo scolpito e dorato, esso pure di legno, molto fine. Alle pareti si aprono quattro cappelle tre delle quali hanno la pala dell’altare con belle tele del sec. XVII e una quarta con nicchia dove si conserva un’artistica statuetta della Madonna con Bambino, anch’essa del sec. XVII scolpita in legno di una finezza particolare. Oltre alle tele degli altari, nelle varie parti della chiesa sono distribuite diverse altre tele quali la Madonna col Bambino e S. Anna dell’Alfani, il terz’Ordine francescano del narnese Michelangelo Braidi.

Chiesa di San Francesco (San Gemini)

Venne fatta erigere, agli inizi del XII sec. dalla nobile famiglia dei Capitoni per commemorare una sosta del Serafino a San Gemini. Facciata tipicamente francescana, sobria e severa, con coronamento a campana. La morbidezza del portale archiacuto e l’articolazione netta degli strombi sono tipici del gotico umbro. Il portone ligneo è uno dei cinque più antichi d’Italia, oggetto di recentissimi restauri. L’interno, restituito alla purezza delle sue linee nel 1950, con l’asportazione di tutte le pesanti sovrastrutture barocche, ha per prototipo la basilica superiore di Assisi. Gli affreschi, riportati alla luce nel 1950, sono in gran parte di scuola umbra (XV sec.); alcuni sono databili ai secoli XVI e XVI.

Abbazia di San Nicolo’ (San Gemini)

Furono i Conti Rapizzoni Arnolfi, ad attendere nella prima metà del sec. XI, alla costruzione dell’Abbazia di San Nicolò sul luogo di un antico cenobio. Questa abbazia, ancorché abitata da monaci benedettini, fu dedicata al culto di San Nicola, Vescovo di Mira, il cui nome venne contratto in Nicolò. Verso la fine del sec. XI, l’allora Abate Carbone pensò di sottoporla alla protezione del monastero di Farfa, abdicando alla propria autonomia. L’Abbazia prosperò ancora fino a tutto il XIV secolo. Perduta la sua autonomia , l’Abbazia si avviò a un rapido declino. Verso la metà del XV secolo venne data in commenda ai Capitoli di S. Gregorio e San Pietro di Spoleto, ed a essi definitivamente incorporata nel 1531, fatto che ne segnò la fine. Soltanto nel 1965, grazie alla lungimiranza dell’allora proprietario avv. Alberto Violati, l’intero complesso architettonico ormai ridotto a rudere venne restaurato e restituito al culto. Osservando la chiesa si nota sulla sinistra l’ampio portale marmoreo dal quale si accede all’Abbazia. In cima alla torre campanaria è stata ricollocata, in occasione dei recenti restauri, la campana maggiore fatta fondere dall’Abate Leonardo nel 1314.All’ingresso della chiesa è stata reinserita, sulla facciata principale, una copia del portale, il cui originale, strappato dalle murature ed esportato negli U.S.A. nel 1936, contro il parere degli organi di tutela e delle autorità locali, è oggi esposto al Metropolitan Museum of Art di New York. All’interno della chiesa si nota una navata principale, affiancata dalle due navatetelle laterali. Quella di destra è costituita da sole colonne, alla maniera paleocristiana; quella di sinistra presenta un ritmo ternario dato da pilastri precedenti e seguiti da due colonne. Dei molti affreschi che dovevano decorare le pareti interne della chiesa, restano oggi soltanto due frammenti: una Madonna in trono commessa nel 1295 al maestro tuderte Rogerio, ed un Santo Pontefice identificabile in San Gregorio Magno ed attribuito alla stessa bottega del maestro tudertino.

Chiesa di San Damiano – meglio dire di Cosma e Damiano (Carsulae) 

La chiesa di San Damiano, sorta sui resti di un edificio romano di incerta funzione, di cui sussistono tracce ben visibili sul fianco meridionale: si tratta di alcune strutture murarie in blocchetti di calcare (opus vittatum) con ricorsi regolari di mattoni, sulle quali si impostano tre archi a tutto sesto, anch’essi in laterizi. La dedica a San Damiano (o, più verosimilmente, ai santi Cosma e Damiano) è abbastanza insolita e, per questo, interessante, poiché luoghi di culto con intitolazioni simili sembrano caratteristici nel periodo bizantino (VI sec.): ulteriori indizi di antichità sembrano essere costituiti dalla tecnica costruttiva, caratterizzata – soprattutto in facciata – dall’ampio uso di blocchi di riutilizzo, e anche dai caratteri stilistici del rilievo posto a decorazione della lunetta d’ingresso. L’edificio originario,  costituito da un’unica aula rettangolare absidata, fu modificato (probabilmente nell’XI sec.) con l’aggiunta di un portichetto in facciata, realizzato quasi interamente con materiali di reimpiego, e, all’interno, con l’inserimento di due colonnati. La chiesa ospita al suo interno e sotto al portico frammenti di decorazione architettonica (basi, capitelli, ecc.) e numerose lastre marmoree pertinenti al rivestimento parietale della basilica e degli edifici pubblici del foro.

Eremo di Portaria o Romita di Cesi

Il vasto complesso conventuale noto come Eremita di Cesi o Eremo di Portaria si trova su un versante del monte Torre Maggiore a circa 800 metri slm e sorge lungo l’antica strada che nel passato collegava Carsulae (oggi famosa per gli scavi archeologici) a Spoleto attraverso i monti Martani. Qui, tra gli anfratti della montagna preesisteva un eremo dove, verosimilmente, nel IV secolo si erano ritirati i santi vescovi siriaci Procolo e Volusiano e accanto al quale i benedettini eressero una cappella che doveva servire da rifugio per una piccola comunità di monaci e come luogo di culto per i pastori che si spostavano stagionalmente nel territorio. Nel 1213 il convento fu fondato da S. Francesco d’Assisi che abitò per un certo periodo in una grotta nei pressi di una chiesa che gli aveva donato il vescovo di Spoleto, probabilmente la cappellina di S. Caterina decorata poi con affreschi della scuola di Benozzo Gozzoli. La chiesetta, dedicata all’Annunziata, aveva le stesse dimensioni della Porziuncola di Assisi e gradatamente il corpo conventuale crebbe in dimensione ed importanza. La presenza di frati si fece così nel tempo più numerosa fino a raggiungere anche le trenta presenze e fu necessario allargare il corpo conventuale in fasi successive. Nel 1420 vi giunse anche San Bernardino da Siena, alla cui opera si deve l’aspetto attuale. La vita conventuale continuò ad esser intensa e proficua, e centro di alta e rigorosa spiritualità Francescana. La tradizione vuole che la Corona Francescana, tuttora recitata dalle famiglie minoritiche, ebbe qui origine nel XV secolo. La tradizione parla anche di cose prodigiose avvenute qui: si racconta del Beato Francesco di Pavia che ammansì un lupo, del Beato Giovanni Spagnolo al quale apparve Gesù vicino a quello che oggi si chiama Leccio Santo. La tradizione vuole che qui Francesco abbia composto la Exhortatio ad laudem Dei, da molti considerata un primo abbozzo per il Cantico di frate Sole.

EXHORTATIO AD LAUDEM DEI

Temete Dio e dategli gloria!

Il Signore è degno di ricevere lode e onore.

Voi tutti che temete Dio, lodadelo!

Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te!

Lodate Lui, cieli e terra.

Lodate il Signore, voi tutti fiumi.

Benedite il Signore, o figli di Dio.

Questo è il giorno fatto dal Signore,

esultiamo e rallegriamoci in esso!

Alleluia, Alleluia, Alleluia, Re d’israele!

Ogni vivente dia lode al Signore!

Lodate il Signore perchè è buono!

Tutti voi che leggete questo scritto, benedite il Signore!

Benedite il Signore, voi tutte le creature!

Tutti voi volatili del cielo, lodate il Signore!

Tutti voi, fanciulli, lodate il Signore! Giovani e ragazze, lodate il Signore!

L’agnello ch’è stato immolato è degno di ricevere lode,

gloria e onore!

Benedetta sia la Santa Trinità e l’indivisibile unità!

San Michele Arcangelo, difendici nel combattimento.

Chiesa di Santa Maria Assunta (Cesi)

La chiesa di Santa Maria Assunta (XVI-XVIII secolo) sorge nel borgo di Cesi. Il nome del borgo deriva dal latino caesa, che segnala un luogo diboscato. Il paese ha dato i natali all’omonima casata Cesi che acquisì il titolo di duchi di Acquasparta. Da questa nobile famiglia discendono cinque cardinali e Federico Cesi, fondatore dell’Accademia Nazionale dei Lincei.. All’interno si trova una pala d’altare del Maestro di Cesi

Chiesa Santa Maria dell’Oro

La chiesa fa parte di un complesso che sorge sulla collina denominata Colle Lauro. Fonti agiografiche oggi non più documentabili, portavano al 1443 l’edificazione del complesso. La data potrebbe però riferirsi all’intento dei Minori osservanti di fare in Terni un convento, e che avendo scelto la sommità del colle come sede, fecero richiesta al Comune di poterlo erigere, essendo il terreno di proprietà del Municipio. La richiesta fu accolta il 2 aprile del 1441. Il convento, che fino ai primi 900, aveva conservato la sua fisionomia originaria fu poi trasformato quando il Comune decise di adibirlo, nel 1933, a casa di riposo per anziani. La chiesa presenta una facciata settecentesca. L’interno ad una navata e due cappelle per ogni lato, è dovuto ad un rifacimento seicentesco anche se non mancano parti precedenti, come il coro e altri ambienti tra cui la sacrestia, che presentano una muratura a quadrelli e sono da considerare probabili resti della chiesa quattrocentesca. Il recente pavimento in cotto a quadri non si accorda bene con i bei gradini seicenteschi dell’altare. L’aspetto dell’interno è di prevalente impronta seicentesca; ma tracce di decorazione a fresco dell’epoca precedente sono visibili sulle pareti del coro e della sagrestia a testimoniare che parte dell’impianto quattrocentesco è tuttora conservato. La navata è coperta da un soffitto ligneo dipinto a falsi cassettoni, ove sono raffigurati busti di Santi e Beati francescani; nel riquadro centrale l’immagine della Immacolata Concezione. Nei due altari della parete sinistra sono collocate due tele ad olio seicentesche raffiguranti la Madonna con Sant’Anna e S. Gioacchino e l ‘Immacolata Concezione e Santi. Nel primo altare a destra è un Crocifisso ligneo del sec. XV, di buona fattura. L’arcone che separa la navata del presbiterio è stato affrescato nel 1731 da Giuseppe Viario da Oneglia. L’affresco in parte ridipinto, rappresenta 1 ‘Incoronazione della Vergine. Sull’altare maggiore, disegnato nel 1943 dallo scultore Colasanti, fu collocata una copia dello Sposalizio di Santa Caterina di Benozzo Gozzoli (ora nella Pinacoteca Comunale) che era stato donato dalla famiglia Rustici alla Chiesa di Santa Maria dell’Oro per le grazie ricevute dalla Madonna qui venerata. Recentemente sono stati individuati, in due tavole conservate nella Galleria Nazionale di Praga e in una tavola del Louvre, i pannelli componenti un trittico di Paolo da Visso, un tempo appartenenti alla Chiesa di Colle dell’Oro. La presenza nella chiesa di opere di Benozzo Gozzoli e di Paolo da Visso dimostra l’importanza del convento già dai primi anni della sua fondazione. Interessante è il tabernacolo dell’altare maggiore in legno intagliato, di buona fattura seicentesca. Ai lati dell’altare sono poste due tele ad olio raffiguranti Martirii di frati francescani in Oriente (fine secolo XVII – inizio XVIII).

Chiesa di Sant’Antonio

Santuario Antoniano dei Protomartiri Francescani

La chiesa di Sant’Antonio di Padova è un santuario di Terni. L’edificio è opera dell’architetto Cesare Bazzani ed è stato realizzato fra il 1923 e il 1935. Dal 13 giugno 2010, con decreto del vescovo Vincenzo Paglia, è Santuario Antoniano dei Protomartiri Francescani, ossia i santi martiri Berardo, Ottone, Pietro, Accursio e Adiuto, la cui morte fu motivo della vocazione francescana di sant’Antonio di Padova. Nella chiesa sono conservate le reliquie dei suddetti santi, raffigurati, assieme a scene della loro vita, da una grande tavola di Piero Casentini. 

Un santuario nella città: così si presenta la chiesa di Sant’Antonio di Padova in Terni da quando vi sono state deposte le reliquie dei Protomartiri francescani, ossia i santi Berardo da Calvi dell’Umbria, Pietro da San Gemini, Ottone da Stroncone, Adiuto e Accursio da Narni († 1220). Nell’attuale cultura definita post-moderna tutto appare mobile, tanto che qualcuno l’ha definita una società liquida. L’uomo cammina, non solo nelle strade trafficate della città, ma soprattutto attraverso la rete informatica che fa vivere in tempi ristretti – bastano pochi secondi perché una notizia si diffonda – e spazi dilatati così che dal proprio computer si dialoga tranquillamente con l’estremo opposto del pianeta. Camminare, un aspetto fondamentale dell’uomo: un bambino compie un passaggio fondamentale quando comincia a camminare e un altro è quando non si riesce più a camminare! Eppure se il cammino non ha una meta è un vagabondaggio”. + Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia

Tratto da Chiesa di Sant’Antonio in Terni. Santuario antoniano dei protomartiri francescaniGiuseppe Cassio, Elledici-Velar, Gorle 2011