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Fonti Pastorali – Fonti Storiche – Fonti Motivazionali – Bibliografia

“E dissi ‘peregrini’ secondo la larga significazione del vocabulo; ché peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’ Iacopo o riede. E però è da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de l’Altissimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa’ Iacopo fue più lontana de la sua patria che d’alcuno altro apostolo; chiamansi romei in quanto vanno a Roma, là ove questi cu’ io chiamo peregrini andavano”.  Dante Alighieri – Vita Nova – Cap. XL

PASTORALI

Il pellegrinaggio ha come meta l’incontro personale con Dio e con se stessi. Disperso nella molteplicità degli affanni e della realtà quotidiana, l’uomo ha bisogno di riscoprire se stesso attraverso la riflessione, la meditazione, la preghiera, l’esame di coscienza, il silenzio… Le grandi domande sul senso dell’esistenza, sulla vita, sulla morte, sul destino ultimo dell’uomo devono risuonare nel cuore del pellegrino così che il viaggio non sia solo un movimento del corpo ma anche un itinerario dell’anima. Nel silenzio interiore, Dio si rivelerà proprio come una « voce di silenzio sottile » che trasforma il cuore e l’esistere. Solo così, quando si ritornerà a casa, non si piomberà di nuovo nella distrazione e nella superficialità, ma si conserverà una scintilla della luce ricevuta nell’anima e si sentirà la necessità di ripetere in futuro questa esperienza di pienezza personale, « decidendo di nuovo nel cuore il santo viaggio ».”

(tratto da Il Pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000 approvato da papa Giovanni Paolo II )

“Seguire il Cammino è aprire canali al mistero, all’infinito, a Dio, in quella vicinanza che è la stessa interiorità. La grande scoperta del pellegrino è di scovare nell’essenza del proprio essere, nella storia di ogni giorno in relazione al mondo e con coloro che si trovano sul Cammino, la presenza della volontà di Dio, armonizzata dalla sinfonia totale umana”. Il pellegrino scopre con san Giovanni della Croce che “per andare dove non sai, devi passare per dove non sai”

Il pellegrinaggio è un fatto spirituale che può portare il dono della fede in Gesù Cristo a chi non lo possiede, o rivitalizzarlo in coloro che già lo possiedono, sapendo che nel deserto della vita le pietre delle difficoltà non si trasformano nel pane del successo facile.

Il Cammino è un’esperienza in cui si impara a dare e ricevere subordinando l’avere all’essere. Realtà di cui sentono bisogno anche persone che, abbandonata la fede in Cristo Salvatore, morto e risorto, si sono allontanate silenziosamente dalla Chiesa e che protetti dalle loro false sicurezze sono facilmente soggetti a delusione, scetticismo e tristezza, senza aver mai preso coscienza della malattia spirituale di cui possono soffrire. Forse non hanno visto i loro sogni compiuti e non è per loro facile comprendere e tantomeno accettare il progetto di Dio nelle loro vite.

Il Signore, così come fece con discepoli di Emmaus, viene incontro al pellegrino proprio nei suoi dubbi e nelle sue incertezze, tuttavia riconoscerlo è frutto del cammino della comprensione della sua Parola e della partecipazione alla mensa Eucaristica. La meta del pellegrinaggio è un momento propizio in cui il pellegrino chiede insistentemente che Gesù rimanga per poterlo accogliere nella sua casa, e cioè chiede il dono della fede, giacché questa accoglienza ha come unica ragione l’amore. La conversione, che gettando luce sulla nostra cecità opera un discernimento su noi stessi, è conseguenza di un necessario annuncio del vangelo, il cui obiettivo è la liberazione interiore.

(Lettera pastorale dell’Arcivescovo di Santiago de Compostela nell’ Anno Santo Compostellano “PELLEGRINI DELLA FEDE E TESTIMONI DI CRISTO RISORTO” + Julián Barrio Barrio Arcivescovo di Santiago de Compostela )

Il passaggio dei discepoli di Emmaus, ci presenta la figura dei due viandanti come paradigma del pellegrino che cerca di trovare una risposta alle sue domande più profonde. Essi, che percorrevano il cammino che unisce Gerusalemme ad Emmaus, si sentivano costernati e defraudati dagli ultimi avvenimenti, che non rispondevano alle loro aspettative e per i quali non trovavano spiegazione. Gesù Risorto va loro incontro e si fa presente in questa situazione, per illuminarla con la sua presenza e con la sua parola. Entra in casa con loro e, quando prende il pane e lo spezza, “allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 31), per poi intraprendere velocemente il ritorno a Gerusalemme e raccontare agli apostoli quanto era successo.

I discepoli di Emmaus si alzarono e tornarono a Gerusalemme dopo aver riconosciuto il Risorto. Questo modo di procedere ci mostra che l’uomo ha bisogno di incontrare Cristo per prendere coscienza di se stesso.

In questo modo, inizia un processo che porta dal “camminare” al “riconoscere” che Dio lo sta aspettando proprio lì.

(S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò al II congresso mondiale di pastorale dei pellegrinaggi e santuari – Santiago de Compostela 2010 )

“Diversamente dal vagabondo, i cui passi non hanno una destinazione precisa, il pellegrino ha sempre una meta davanti a sé, anche se a volte non ne è pienamente cosciente. E la meta altro non è se non l’incontro con Dio per mezzo di Gesù Cristo, in cui tutte le nostre aspirazioni trovano risposta”.

(Benedetto XVI al II congresso mondiale di pastorale dei pellegrinaggi e santuari – Santiago de Compostela 2010 )

STORICHE

Il mettersi in cammino è assolutamente connaturato all’ essere umano, anche il “viaggio a piedi verso un luogo sacro” – pellegrinaggio – è una pratica universale, che ritroviamo in tutte le religioni, antiche e attuali – e anche nel mondo primitivo. Il pellegrino si muove alla ricerca di risposte a un dubbio esistenziale, per l’incertezza di una scelta importante, per una speranza di risanamento. Se per gli indiani è Benares luogo di purificazione per eccellenza, per gli ebrei è Gerusalemme, mentre per i Musulmani il pellegrinaggio alla Mecca è addirittura uno dei 5 pilastri delle regole coraniche. Nel mondo ebraico il pellegrinaggio è stato praticato ben prima che nel mondo cristiano: soprattutto il pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme è stato il vero antecedente sia di quello a Roma sia di quello alla Mecca: tutti i maschi ebrei erano tenuti a recarsi a Gerusalemme (il bambino quando era in grado di camminare dando la mano al padre).

Gerusalemme, Roma, Santiago di Compostela.

Nei primi secoli della cristianità il pellegrinaggio è essenzialmente un’esperienza individuale; meta prediletta: la TERRA SANTA, luogo della vita e della passione di Cristo.

In questi tempi lontani il viaggio si compie all’ insegna dell’imprevedibilità. Le conoscenze approssimative del percorso lasciano, anche ai viaggiatori più metodici, un enorme margine di casualità, imprevisti e sorprese. Del resto l’imprevedibilità trovava il suo senso nel sentimento di accettazione del disegno divino di cui l’imprevisto era il segno. L’ossessione moderna per la programmazione ci priva di un importante contenuto e senso del viaggio stesso: il piacere della sorpresa e la gratificazione di saper far fronte agli imprevisti.

Gradualmente cresce l’importanza di Roma e diventa l’altra Gerusalemme, dove ci si può recare senza correre il rischio di cadere nelle mani degli ‘infedeli’. E’ soprattutto con il giubileo del 1300 che si impone il valore del pellegrinaggio a Roma. Gli itinerari dei pellegrinaggi maggiori (Gerusalemme, Santiago di Compostela, Roma, Canterbury, S. Michele Arcangelo in Puglia, …) sono determinanti per la fondazione di santuari, monasteri, strade, ospizi, mercati. Grandi arterie entro le quali scorre una linfa vitale che alimenta e nutre la crescita culturale in tutta l’Europa. Occasione di contatto e dialogo tra masse di persone provenienti da tante nazioni diverse, fonte di apprendimento e di diffusione di culti e tradizioni fino ai luoghi più sperduti: contributo decisivo nel creare un linguaggio e un quadro simbolico di riferimento che unifica la cultura europea. La famosa Via Francigena taglia l’Europa da Nord a Sud unendo lungo una retta ideale Canterbury a Roma (ricalcando in Italia tratti della romana via Cassia). Dalle direttrici maggiori si sviluppano pellegrinaggi minori, spesso legati all’esistenza di reliquie di santi, leggende di apparizioni o acquisizione di indulgenze.

La storia dei pellegrinaggi nel mondo cristiano si lega indissolubilmente all’evoluzione della concezione del rapporto tra assoluzione e penitenza. Mentre nella chiesa primitiva il peccato conosce rare assoluzioni, rimandate in genere alla fine della vita, si deve invece ai monaci irlandesi l’aver operato una vera e propria rivoluzione, introducendo un ingegnoso sistema per così dire ‘contabile’ del rapporto tra peccato/assoluzione/penitenza, per cui ad ogni categoria di peccato fa riscontro una determinata penitenza necessaria per ottenere uno ‘sconto’ sulla pena del Purgatorio. La dottrina penitenziale della chiesa irlandese si diffonde e si sviluppa così, a partire dal secolo VIII, il pellegrinaggio penitenziale, che diventa un’esperienza sempre più di massa. E’ però con il primo giubileo in FORMA PLENARIA che si attua un vertiginoso salto di qualità: siamo nel 1300 e ai pellegrini che arrivati a Roma visitino le 4 Basiliche maggiori Bonifacio VIII accorda indulgenze eccezionali. Inizialmente previsto ogni 100 anni, che si riducono a 50 con Clemente VI, poi a 33 e infine a 25 con Paolo II (1470). Anche alle crociate sono legate le indulgenze.

Vero è che ogni celebrazione anniversaria era comunque sentita in maniera assai più intensa di oggi e in fondo la pratica del giubileo si è collocata anche come risposta alle radicali istanze salvifiche dei secoli precedenti e come proseguimento della tradizione dei pellegrinaggi che per tutto il medio evo si erano svolti per penitenza imposta dai sacerdoti, dai vescovi o dai giudici o di propria iniziativa personale. Con riconquista cattolica della Spagna (fine secolo XII – inizio XIII) si apre la via al grande pellegrinaggio di Santiago di Compostela in Galizia, il cui culto è legato al leggendario ritrovamento delle reliquie dell’Apostolo Giacomo. Distrutta la basilica dagli arabi nel 997, la stessa viene poi ricostruita nell’XI secolo con il sostegno di Alfonso VI di Castiglia e dell’ordine di Cluny.

Partire è un po’ morire: Se la rituale periodicità e l’incremento stesso del numero dei pellegrini fanno ricollocare il viaggio nell’ambito della ‘normalità’, nondimeno i rischi, gli imprevisti, i pericoli connessi al viaggiare restano comunque grandi e temibili, tanto da rendere il viaggio una scelta di portata estrema, e quindi soggetta ad una certa regolamentazione sociale e giuridica. La morte durante il viaggio è un’eventualità tutt’altro che remota, tanto che sopra la tomba, il disegno del bastone e del cappello del pellegrino indica viaggi mai terminati, di anonimi viaggiatori morti lungo il cammino. La ritualità della partenza esprime proprio la valenza radicale di questo evento: il pellegrino prima di intraprendere il cammino viene benedetto durante una messa appositamente celebrata, chiede perdono a tutti coloro che ha offeso, fa confessione e testamento fissando un termine oltre il quale può essere considerato morto.

L’abbigliamento del pellegrino: mentre gli antichi pellegrini penitenziali camminano scalzi o addirittura con catene, i semplici pellegrini indossano invece abiti un po’ particolari, che li contraddistinguono e li differenziano rispetto ai normali viaggiatori: il   BORDONE, forte bastone con punta di ferro, è la 3° gamba del pellegrino, aiuto nel cammino ma anche strumento di difesa da possibili aggressori, e simbolo resistenza contro il male. la   BISACCIA, di piccole dimensioni proprio per far si che i pellegrini confidino nell’elemosina, nella provvidenza divina. Si allude anche chiaramente alla mortificazione dei vizi. La   SCHIAVINA, veste di panno ruvido, e più tardi un CORTO MANTELLO e CAPPELLO a tese larghe. Qualche volta un recipiente per l’acqua e una ciotola.

Un abbigliamento molto rudimentale per noi che siamo abituati ai tecnicismi dei vari goretex o vibram, ma essenziale e carico di una profonda simbologia, dove ogni oggetto trascende il suo uso pratico e si fa portatore di significati metaforici.

Diversi simboli indicano la destinazione (o la provenienza) del pellegrinaggio: RAMO DI PALMA  per Gerusalemme, CONCHIGLIA per Santiago di Compostela,  CHIAVI per Roma.

Questi simboli, insieme alla lettera di accoglienza, servivano anche a esentare il pellegrino dal pagamento dei pedaggi e a difenderlo in una certa misura dalle aggressioni di ladri e banditi. Il problema della SICUREZZA riguardava TUTTI: mercanti, viaggiatori e pellegrini. Vaste regioni d’Europa erano infestate da briganti che vivevano assaltando e derubando viaggiatori e pellegrini, ma che in una certa misura rispettavano l’attestato (lettera di accoglienza) di pellegrino o addirittura rilasciano un loro lasciapassare da esibire ad altri banditi a scopo protettivo. La Chiesa si preoccupa di salvaguardare la sicurezza dei pellegrini: nel concilio Laterano del 1123 si arriva a sancire la scomunica per chi molesta i pellegrini o esiga ingiusti pedaggi. E se non bastava il pericolo dei banditi c’erano poi i lupi da affrontare, e le piene sui fiumi, tanto che spesso i ponti sono affiancati da simboli religiosi in funzione tutelare e la manutenzione dei ponti affidata a istituzioni religiose. In mancanza di ponti si attraversava con traghetti oppure con l’aiuto piuttosto incerto di una corda stesa tra le due sponde. Naturalmente era nel corso dei mesi meno freddi che la maggior parte dei pellegrini si metteva in viaggio: quando il clima più mite avrebbe reso meno problematica l’eventualità di allestire un rudimentale bivacco serale e dormire all’aperto sotto un semplice tetto di stelle. In giornate più lunghe e luminose 30 o 40 km. di cammino si possono più piacevolmente diluire in un arco di tempo maggiore senza correre il pericolo di essere sorpresi dal cadere delle tenebre. Superare d’inverno gli alti passi alpini era non solo oltremodo pericoloso ma in molti casi praticamente impossibile e comunque bisogna tener presente che in tutta l’antichità, praticamente fino al XVIII secolo, le montagne sono state percepite rappresentate e vissute come luogo ostile, pericoloso e terrifico. Lo stesso paesaggio montano che noi oggi qualifichiamo con aggettivi tipo ‘bello, suggestivo, emozionante’ veniva rappresentato come orrido, squallido, terrificante: luogo fantasmatico in cui prendono corpo le più oscure fantasie. Sostanzialmente le catene montuose venivano concepite come un difetto della natura, un inutile ingombro o un pericoloso ostacolo al transito degli eserciti o delle carovane di commercianti e viaggiatori. Quella che per noi escursionisti può essere oggi una entusiasmante passeggiata era per il pellegrino una prova da superare con coraggio, un passaggio anche simbolico in cui dominare la paura.

Santi protettori

Il pellegrinaggio è un viaggio che si compie generalmente in gruppo o in coppie, talvolta in solitario, comunque è una esperienza di distacco temporaneo dalla propria realtà abituale e occasione per restare soli con se stessi, mettersi alla prova e scoprire magari nuovi aspetti di sé, oppure stringere nuove impreviste relazioni.

Idealmente però il pellegrino si muove accompagnato dal potere protettivo di numerosi santi, appellandosi ai quali si ottiene un ‘aiutino’ per superare innumerevoli difficoltà: per difendersi dalle malattie, per attraversare fiumi, scalare montagne, percorrere strade solitarie infestate da briganti. Angeli e gli Arcangeli sono potenti protettori del cammino, in particolare, RAFFAELE, GABRIELE e soprattutto MICHELE cui si dedicano vari importanti santuari in Italia e in Francia.

Tra tutti i Santi protettori dei pellegrini spicca, per la sua vicenda emblematica e per il culto che ha generato, Rocco di Montpellier. Le sue vicissitudini ne fanno un mito e una figura ideale di riferimento impareggiabile, talmente simbolica che il corto mantello indossato dal pellegrino è detto ‘SANROCCHINA’. La sua storia leggendaria: nativo di Montpellier, rimasto orfano vende tutti i suoi beni e si mette in cammino per Roma. Si imbatte in quel flagello che a ondate si abbatte sulle città europee: la ‘morte nera’, la peste. Ad Acquapendente decide di fermarsi a curare gli ammalati.

Arrivato a Roma vi si stabilisce per 3 anni sempre dedicandosi alla cura degli ammalati e compiendo guarigioni prodigiose. Ripresa la strada del ritorno viene a sua volta colpito dalla peste, e, cacciato da Piacenza, si ritira nei boschi di Sarmato e sopravvive grazie alle cure di un aristocratico locale, Gottardo Pallastrelli, che poi, imitando il suo esempio, si libera delle sue ricchezze e lo segue nel suo peregrinare. Era stato però il cane dell’aristocratico, spinto da un prodigioso istinto caritatevole, a portargli per primo quel pane, che aveva dato il via al lento processo di guarigione. Ed è per questo che Rocco, dopo aver speso gran parte della sua vita per curare uomini si dedica alla cura degli animali colpiti da un morbo simile alla peste. Dopo qualche tempo i due compagni di cammino si separano e, mentre Gottardo va verso le Alpi, Rocco si rimette in rotta per Montpellier, ma, sospettato di spionaggio e imprigionato ad ANGERA (Lago Maggiore) vi muore dopo 5 anni, dimenticato da tutti. Grazie a una serie di prodigi verificatisi dopo la sua morte si comprende che il mendicante non è la spia che era stato sospettato di essere ma un santo.

Le sue reliquie sono venerate in diversi luoghi e il suo culto testimoniato da innumerevoli cappelle. Rocco è esempio di ciò che Dio può fare servendosi degli uomini addirittura a loro insaputa. Le sue vicende altalenanti un simbolo della insindacabilità e imperscrutabilità dei voleri divini. Emblema di San Rocco la conchiglia di Santiago e suo fedele compagno: il cane che gli aveva salvato la vita.

L’ospitalità lungo il cammino: ospizi e monasteri

Fin dai primi secoli all’assistenza dei pellegrini si dedicano i monaci, secondo una concezione che vede nel pellegrino la rappresentanza del divino. Questa pratica viene messa in atto in particolare dai Benedettini e a partire dal IX secolo i monasteri debbono stanziare a questo scopo notevoli somme Con l’allargarsi della prassi del pellegrinaggio debbono essere costruiti appositi ospizi per l’accoglienza (i primi sono quelli irlandesi). Naturalmente c’era anche l’ospitalità a pagamento nelle locande ma solo per chi poteva permetterselo. Già verso il XII sec. sulle rotte dei grandi pellegrinaggi c’era un’ampia rete di ospizi ben organizzati (gestiti da vari ordini religiosi), a non più di 1 giornata di cammino tra l’uno e l’altro. Alcuni importanti e noti, altri piccolissimi e sconosciuti, anche sui passi di montagna.

I servizi forniti variano molto da luogo a luogo. Spesso l’ospizio è solo un ricovero per dormire (a volte spartanamente sulla terra battuta, a volte condividendo un letto con altre persone); il cibo sovente si limita a una pagnotta e a una minestra di verdure, comunque vitto e alloggio dipendono anche dal rango del pellegrino. Altro compito speciale e importante: la cura dei piedi doloranti e piagati del pellegrino, atto simbolico che richiama l’esempio di Cristo.

Col tempo l’accoglienza ai pellegrini diventa un grosso onere per i monasteri e col passare dei secoli vengono stabilite limitazioni per il numero di pellegrini da alloggiare e la durata del soggiorno. Roma registra una eccezionale affluenza di pellegrini già per il Giubileo del 1300, dunque sin da allora per i romani questo evento diventa una grossa occasione di business. L’accoglienza del pellegrino si fa organizzazione, tanto che alla fine del ‘600 si contano decine di ospedali pubblici e ancor di più ospizi specifici per le singole nazionalità.

Molti si ammalano lungo il cammino, specialmente nel pellegrinaggio a Gerusalemme, tanti non giungono alla meta. Ci sono luoghi mitici di guarigione e oggetti terapeutici speciali – ad esempio l’agnus dei (costituito da cera e polvere delle ossa dei santi) – usati come vere e proprie reliquie. A Roma si sviluppa il commercio di varie pomate e unguenti, dai nomi di santi e apostoli, e si amplia il business dell’importazione di spezie dall’Oriente. Sono gli stessi pellegrini a farsi promotori della diffusione di questi preparati medicinali, sperimentati nel loro pellegrinaggio e dimostratisi più o meno efficaci. Le guide di tutti i tempi sono prodighe di consigli o ricette per prevenire o curare i mali tipici del pellegrino: vesciche, insolazioni, raffreddamenti, congelamenti, orticarie, screpolature, disidratazione, dissenteria, distorsioni…

A volte il pellegrino si ferma a lungo nell’ospizio per rimettersi in salute e la guarigione è verosimilmente dovuta alla regolarità dell’alimentazione. Dunque dopo varie cure (utili o no) il paziente si rimette in viaggio e gli ex voto costituiscono un’utile indizio per capire il tipo di male che questo o quel santuario era specializzato nel curare.

Il pellegrinaggio al femminile.

Se è vero che il tema del viaggio non appartiene al territorio simbolico femminile, tuttavia quel particolare tipo di viaggio che è il pellegrinaggio, è stato uno spazio di relativa ‘libertà’ femminile. La cultura dominante in generale ha disapprovato il pellegrinaggio femminile in quanto frutto della ‘insana’ curiosità femminile e apertura verso una pericolosa promiscuità. D’altra parte la donna ha sempre avuto un più stretto contatto col corpo e il desiderio di toccare le sacre reliquie è stata una molla importante del pellegrinare. C’è l’idea forte che attraverso il CONTATTO o la VICINANZA si generi una energia guaritrice o comunque vivificante. In certi casi alle donne viene vietato di avvicinarsi alle reliquie. Ci sono tante donne semplici, non sante, non monache, non aristocratiche, che magari anche con bambini si mettono in cammino, ma è difficile quantificare dati certi. Pare che secondo le poche fonti il totale delle donne in cammino oscillasse tra il 15 e il 20% del totale dei pellegrini.

MOTIVAZIONALI

Perché un pellegrinaggio a piedi nel terzo millennio?

I motivi che inducono l’uomo moderno ad intraprendere un pellegrinaggio a piedi sono: – ricercare l’anima che è in ognuno di noi – il mondo guarda solo alle cose materiali; – condividere una esperienza di vita – il mondo è incentrato sull’individualismo; – riscoprire la fratellanza – il mondo è fatto di disuguaglianze; – ritrovare un momento di pace interiore – il mondo è frenetico; – instaurare un dialogo con altre persone – il mondo attuale è un mondo di solitudine; – darsi un obiettivo forte da raggiungere – il mondo ci bombarda di cose inutili; Il pellegrino riscopre che: – condivide una metà – non si è mai soli durante un pellegrinaggio; – è possibile rimettersi in gioco – è capace se lo vuole di qualunque impresa; – esiste la gioia gratuita – che c’è più gioia nel dare che nel ricevere; – guarda il mondo in modo nuovo – la gioia di vivere nonostante le avversità; – è possibile cambiare la propria vita interiore – che i valori sono più importanti di ogni altra cosa; – è possibile contemplare il creato – si accorge delle meraviglie della natura.

Alessandro Corsi

Le motivazioni dei primi passi

Alla partenza di un cammino, molteplici sono le motivazioni che si possono ascoltare nelle parole degli uomini e delle donne che, sempre più numerosi, si scoprono nuovamente viandanti e rispondono alla suggestione di ripercorrere lenti, talvolta defatiganti e, ormai, spesso desueti itinerari. C’è chi inizia il suo cammino sotto la spinta di istanze spirituali, alla ricerca di un altro modo di vivere la fede, altri si avviano per soddisfare il bisogno esistenziale di ritrovare se stessi e dunque di dare un nuovo senso alla propria vita, altri ancora hanno esigenze culturali, vogliono conoscere quanto di antropologico, storico, artistico e naturalistico si incontra lungo le grandi rotte che conducevano alle tre mete religiose cristiane nel medioevo per poterlo confrontare con ciò che è ancora presente e vivo ai nostri giorni delle storie, dei miti e delle leggende del passato. Si può iniziare un cammino più semplicemente per moda, per fare attività fisica e combattere la sedentarietà causa di tante malattie, per curiosità o per seguire un amico. Comunque, quali che siano le motivazione di questa folla di viandanti alla partenza, ciò che interessa davvero è la scoperta che all’arrivo accomuna e trasforma ogni singolo che percorre i sentieri che portano verso i luoghi della fede, in un popolo in cammino.

Nomadi o stanziali

Esiste una “dimensione biblica del pellegrinaggio”: da Abramo in poi, la storia del popolo di Israele è punteggiata dall’andare da un luogo all’altro con grande fatica e grande pena. Nel Nuovo Testamento, Maria, dall’Annunciazione in poi, si sposta da un luogo all’altro della Palestina, da Nazaret in Galilea ad Ain Karem e poi da lì a Betlemme in Giudea e poi in fuga in Egitto e poi nuovamente a Nazareth e così via fino alla morte. Con la sua vicenda, segnata dal legame indissolubile della madre verso il figlio, si compie il legame altrettanto indissolubile tra la storia umana e la dimensione divina. Tutta la storia umana, infatti, racconta il girovagare di singoli viandanti o di intere popolazioni, un eterno errare sotto la spinta ora del bisogno ora del desiderio, costrizione ad allontanarsi da ciò che si ama e ad andare dove non si vorrebbe, a fuggire da ciò che si teme inseguendo nell’altrove il sogno di una vita migliore. Non va dimenticato che il nomadismo, legato alla pastorizia ed al ciclo delle stagioni, è stata la prima forma di economia, quella in cui il legame con un singolo territorio era meno forte, ma contemporaneamente il rispetto per tutta la terra attraversata era più grande. E’ infatti con il passaggio dalla pastorizia all’agricoltura, che l’umanità si lega in modo particolare e forte ad un territorio ed all’acqua, diventa pronto a lottare per difenderli, nascono “proprietà privata” e “patria” con confini ben precisi e da non varcare: Romolo si trasforma nell’assassino del fratello che oltrepassa il solco della fondazione della città, la sua città, la terra è proprietà di uno solo e di un sol popolo. L’umanità moderna dunque sembra indossare nuovamente i panni del viandante, sembra che gli uomini e le donne del nostro tempo stiano tornando, più o meno consapevolmente, all’idea di poter “camminare un territorio”, di attraversarlo amandolo come se fosse suo senza possederlo in modo esclusivo.

Bagaglio leggero

Oggi, dunque, il cammino sembra farsi simbolo dell’allontanamento da una condizione di vita resa frenetica dal consumismo, ma al tempo stesso bloccata dai beni accumulati, alla ricerca di priorità legate a valori più profondi, intimi, fondamentali. Dall’avere e dall’apparire all’essere. Nel cammino, il bagaglio è ridotto al minimo, lo zaino contiene solo ciò che è assolutamente necessario. Costretti a lasciare tutto indietro – i beni materiali, le comodità, il potere, il ruolo, i luoghi, le persone –, liberandosi di abitudini di cui spesso non si ricordano neppure più le origini, l’umanità in cammino sembra ritrovare la possibilità di cercare l’essenziale. Questo vuoto si fa “spazio ritrovato” per l’”Io”; al suo interno, è possibile collocare nuove e più vere priorità; “lasciare”, permette in qualche modo di dare un nuovo ordine nella propria vita. Assumere il ritmo lento dell’andare a piedi, dell’inerpicarsi sui sentieri di montagna, dell’attraversare le pianure, impossibilitati ad omologarsi al passo dell’altro, permette agli uomini ed alle donne del nuovo millennio di trovare il loro ritmo naturale e di ridare la giusta direzione al loro percorso esistenziale. Nella lenta faticosa andatura che spesso impone solitudine e silenzio, può diventare possibile creare le premesse per interrogarsi sulla propria identità e darsi risposte autentiche sul significato della propria vita. Camminando in silenzio è possibile osservare ed ascoltare, prima di tutto se stessi, ritrovare nella profondità del proprio corpo, spesso troppo curato, ma trascurato, le energie nascoste, nella profondità dell’anima, verità nascoste e ricordi dimenticati. Nel mondo greco, dove per secoli è stata usanza mettersi in cammino per recarsi dall’oracolo di Delfi, così ammoniva la pizia in uno dei suoi responsi: “Ti avverto, chiunque tu sia, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei!”

Io → gli Altri → la Natura → Dio

Questo interiore cammino spirituale, questo silenzio che permette, dunque, di contattare in modo autentico se stessi, nella proposta dalla Compagnia dei Romei non vuole essere in alcun modo, una via verso la vita eremitica, tutt’altro! Recuperare il tempo lento del muoversi a piedi permette di ritrovare l’armonia non solo con se stessi, ma anche con gli altri, con la natura, con Dio. Camminando in gruppo, è possibile ascoltare e confrontarsi, è possibile aprirsi all’altro con nuova attenzione. Ciascuno può scoprire sul volto dell’altro la sua fatica nell’affrontare la montagna, la serenità dell’andatura in pianura e la soddisfazione all’arrivo: il cammino porta all’incontro e alla relazione, educa alla condivisione e al sostegno reciproco. Ascoltando le voci della natura, è poi possibile sentire nascere dentro di sé un contatto più vero con l’ambiente naturale del quale tornare a sentirsi parte: pur non prendendo nulla per sé, il viandante guarda e gode e si nutre del creato nel quale cammina, sente di farsi creatura tra le creature. Percorrendo il Cammino dei Protomartiri francescani, il nuovo itinerario simbolo proposto dalla Compagnia dei Romei, lo sguardo del viandante può riaprirsi allo stupore che proprio nei medesimi luoghi portò San Francesco a elevare il suo cantico alle creature; percorrendo i sentieri dell’Umbria Ternana, giungendo ai luoghi dove il sacro si affaccia con discrezione ed umiltà, le dimensioni personali possono coniugarsi con la fede, ad ognuno è dato di superare il limite della ricerca umana ed aprirsi al Divino: allora il cammino può trasformarsi in pellegrinaggio e il viandante in pellegrino.

Marina Brinchi

Il pellegrino effettua una scelta qualitativa perché intraprende un cammino per interrogarsi sulla propria vita e effettua una scelta quantitativa perché destina una parte della sua vita per riscoprire la propria esistenza.

BIBLIOGRAFIA

“Diario di Viaggio” – Autore Egeria

“Pellegrini verso chi? Pellegrini verso dove?” – Autore Notker Wolf “

Il portico della Gloria” – Autore Davide Gandini

“Racconti di un pellegrino Russo” – Autore ignoto

“In cammino. Una teologia del peregrinare” – Autore Grün Anselm